Il primo capitolo di questo romanzo è intitolato “La buccia della cipolla” e ci introduce nel meccanismo narrativo che “smaschera” la storia velo dopo velo, fino al cuore della verità.
La vicenda ruota attorno alla funambolica vita di Enric Marco, (personaggio realmente esistito e tuttora vivente) nato a Barcellona nel 1921. Enric è un giovane meccanico pieno di spinte ideali, lotta con i repubblicani durante la guerra civile spagnola, viene arrestato dai nazisti e rinchiuso nel lager di Flossenburg e su questa esperienza scrive un libro Memorie dall'inferno, che esce nel 1978. Nel dopo guerra fu un fiero oppositore del franchismo e alla fine del regime diventa leader sindacale e presidente di un'associazione dedicata alla memoria dei deportati spagnoli nei campi di concentramento tedeschi. Per molto tempo è stata una personalità in vista, molto popolare e amata dagli spagnoli, soprattutto dai giovani, che in lui vedevano un modello di ideali di libertà e giustizia, anche grazie alla sua straordinaria capacità oratoria.
Poi uno storico, insospettito da alcuni aneddoti da lui giudicati bizzarri sulla vita di Enric nel campo di concentramento, svelerà agli spagnoli che Enric in quel campo non c’è mai stato. Era effettivamente andato in Germania alla fine del 1941, ma volontariamente, per lavorare come operaio nell’industria di guerra nazista. Aveva usufruito degli accordi tra Franco e Hitler, era stato un modo per sfuggire alla guerra.
Il caso in Spagna fece ovviamente molto scalpore dopo anni durante i quali Enric Marco si prodigava tra conferenze e incontri di sopravvissuti spagnoli ai campi di concentramento, esibendo anche il suo numero di matricola: il 6448.
Dunque c’è la vita vera di Enric Marco, incredibile autodidatta e personaggio popolare, che è già di per sé un romanzo.
Cercas è affascinato dall’idea di scrivere un romanzo/inchiesta su questa vicenda, ma – come lui stesso dice - ha esitato a lungo, nel timore che il romanzo potesse diventare occasione di ulteriore popolarità per quello che agli occhi dell’opinione pubblica si era rivelato un impostore. Enric Marco in realtà aveva vissuto come molti spagnoli medi, senza dire sì alla dittatura ma senza neanche dire no, cercò sempre di portare a casa salva la pelle, pur riuscendo a costruirsi un’identità da eroe.
L’autore all’inizio del libro ha un’aperta avversione verso il suo personaggio, ci trascina nei suoi dubbi su una personalità così controversa fin tuttavia a subirne il fascino. Capitolo dopo capitolo analizza e racconta ogni singolo aspetto della vita di Enric Marco, da quella privata a quella pubblica.
In un capitolo – uno dei più belli - immagina un dialogo con il suo personaggio che lo accusa in sostanza di volersi occupare di lui solo in nome della fama che il romanzo potrà procuragli, dunque è un impostore lui stesso.
Più avanti alla domanda di Enric “a chi ha causato beffa la mia menzogna?” Cercars non ha dubbi, risponde “a milioni di morti”. Ma Enric, com’è nella sua natura, non si perde d’animo “io non mi sono fatto beffa di nessuno, al contrario, ho fatto conoscere un’infamia. E ho dimostrato che quell’infamia era indifferente a tutti (…) io ho dimostrato che nel nostro paese non esisteva l’Olocausto o che non importava a nessuno. Io non ho fatto più danni di lei e l’ho fatto con i suoi stessi strumenti.”
Dove sta dunque la menzogna? E chi è il vero impostore, l’autore o il personaggio?
Più volte, nel corso della narrazione, Cercas avvicina il personaggio di Enric Marco con quello di Don Chisciotte “può un libro riconciliare un uomo con la realtà e con sé stesso?” Perché in definiva Marco trasforma la sua vita come fa Alonso Quijano, protagonista del capolavoro di Cervantes, che all'età dei 50 anni, consapevole di aver vissuto una vita ordinaria, decide di assumere un'altra identità e si trasforma in don Chisciotte.
Ecco perché L’impostore è un romanzo geniale che l’autore scrive trattando una materia complessa con una prosa asciutta, attinente ai fatti, con estrema arguzia e onestà, mischiando abilmente verità e fantasia.
Enric Marco tuttavia, non incarna soltanto il suo stesso paese, ma anche tutti noi che non siamo mai ciò che veramente siamo, ma quello che mostriamo, come la maschera di pirandelliana memoria.
Io non volevo scrivere questo libro, scrive l’autore all’inizio. Ma finisce per scriverlo, forse perché alla fine la verità ha bisogno di essere smascherata, visto che la menzogna – oggi – è più facilmente la regola. O forse perché siamo tutti impostori, tutti vogliamo apparire meglio di quel che siamo nella realtà della vita.
Guanda 2015, 406 pagine, |
€ 20,00 |
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